Sandro Brusco*
La discussione sui salari dei parlamentari seguita alla
pubblicazione del rapporto della ‘commissione Giovannini’ sui costi
della politica è partita male ed è finita nel nulla. Proviamo a porci
una domanda un po’ differente: non quanto, ma come è giusto pagare i
parlamentari. La pratica consolidata a livello internazionale è di
pagarli con un salario fisso. Ci sono almeno due ottime ragioni perché,
in casi normali, sia così. Primo, è difficile definire cosa sia un ‘buon
risultato’ per i parlamentari. Secondo, ammesso che sia possibile
trovare variabili esattamente misurabili da cui far dipendere la
remunerazione, è rischioso far dipendere la compensazione dai risultati perché
si rischia che gli sforzi si concentrino sulle variabili più facilmente
misurabili a scapito di altre meno esattamente misurabili, ma magari
più importanti.
Per esempio, se si pagano gli insegnanti in base ai risultati raggiunti
dai loro studenti in test standardizzati, si rischia che gli insegnanti
dedichino troppo tempo a sviluppare capacità nozionistiche che
permettono di ottenere buoni risultati nei test a scapito dell’abilità a
pensare in modo innovativo e creativo. In presenza di compiti multipli e
con differenti gradi di misurabilità è quindi consigliabile usare una
compensazione fissa.
Pur essendo cosciente delle difficoltà che una compensazione basata sui risultati può generare, io credo che il momento sia sufficientemente eccezionale da consigliare una deviazione temporanea dalla regola del salario fisso. La mia proposta è che per i prossimi 5 anni
i parlamentari vengano remunerati in funzione di due variabili:
l’avanzo primario e il tasso di crescita del Pil. In particolare
propongo un processo in due passi: 1) Se il bilancio pubblico non
presenta un avanzo primario, la remunerazione dei parlamentari è zero.
2) Se il bilancio pubblico presenta un avanzo primario, la
remunerazione dipende dalla differenza tra il tasso di crescita del Pil
italiano e il tasso di crescita del Pil tedesco. Specificamente, la
remunerazione (identica a quella attuale) viene pagata per intero se il
Pil italiano cresce almeno quanto il Pil tedesco, e viene ridotta
proporzionalmente altrimenti, fino ad azzerarsi quando il Pil italiano
cresce molto meno del tedesco.
Quali sono i vantaggi di tale formula? È importante che il governo mantenga l’avanzo primario
(ossia, le entrate devono essere superiori alle spese non per
interessi). Una dipendenza esclusiva dal tasso di crescita del Pil può
generare incentivi perversi, portando a politiche di aumento della spesa
in deficit che generano effetti positivi di breve periodo, ma creano
enormi problemi debitori nel medio e lungo periodo (tutti ricordiamo gli
anni Ottanta). Anche una dipendenza esclusiva dall’equilibrio di
bilancio può generare incentivi perversi, portando ad aumenti draconiani
delle tasse che ammazzano la crescita. È quindi opportuno che entrambe
le variabili entrino in gioco. La remunerazione non deve dipendere solo
dalla crescita del Pil italiano, dato che essa è influenzato non solo
dalle politiche domestiche, ma anche dal ciclo internazionale. Appunto
per depurare gli effetti del ciclo internazionale è opportuno guardare
alla differenza con un paese di riferimento. La formula può essere
cambiata, ad esempio, prendendo la media dell’area euro anziché la
Germania o altre simili combinazioni del genere. L’importante è che sia
chiara e che il principio di base, ossia la dipendenza della remunerazione dal tasso di crescita italiano depurato degli effetti del ciclo internazionale, resti.
Anche se il bilancio pubblico è stato portato sotto controllo, principalmente grazie a una caterva di tasse,
è ormai abbastanza chiaro che il Parlamento italiano è stato
completamente incapace, e non da oggi, di affrontare il problema della
crescita. C’è un problema di assenza di cultura economica tra i nostri
parlamentari, ma c’è anche un problema di incentivi: per il parlamentare
medio risulta essere políticamente più remunerativo difendere le corporazioni,
che bloccano la crescita, piuttosto che puntare allo sviluppo
economico. Rendere la compensazione dei parlamentari dipendente dalla
crescita può quindi servire da bilanciamento, aumentando gli incentivi
dei parlamentari ad approvare provvedimenti efficaci per la crescita.
Nel più lungo periodo, credo sia giusto tornare a remunerare i
parlamentari come in tutti gli altri Paesi, ossia con un salario fisso.
Ma per questa situazione emergenziale un periodo transitorio in cui i
nostri parlamentari son pagati ‘a cottimo’ in base alla crescita del
paese può fornire un notevole aiuto al miglioramento delle nostre
decisioni in tema di politica economica.
*Professore alla University of New York at Stony Brook
Intervento tratto da Il Fatto Quotidiano, 18 Gennaio 2012
2 commenti:
1000 euro al mese.. e so pure troppi..
Concordo.
www.ciclofrenia.it
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