Entro il 31 lugliodovranno essere emanati i
regolamenti attuativi di una proposta governativa che era nell’aria e
che il governo ha emanato lo scorso 6 luglio, di fatto una vera e
propria sanatoria per migranti irregolari. Proviamo prima a raccontarne
cronologicamente il percorso e poi cerchiamo di trarne qualche senso di
ordine politico.
Nel 2009, mediante la direttiva europea n. 52, veniva
chiesto da Bruxelles ad alcuni paesi fra cui il nostro di impegnarsi a
garantire “norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei
confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il
cui soggiorno è irregolare”.
Di fatto in Italia questo comportamento che
molto spesso si traduce nel lavoro nero e nella riduzione in schiavitù,
è scarsamente punito: sono i lavoratori a temere di essere scoperti
mentre si guadagnano da vivere perché rischiano l’espulsione dal
territorio nazionale.
Il governo, dopo aver prima fatto la voce grossa
con i migranti assicurando che per quest’anno non ci saranno “decreti
flussi” ovvero possibilità di nuovi ingressi regolari, ha recepito
finalmente la direttiva.
I termini complessivi sono ancora da
definire ma il quadro è interessante tanto da aver fatto inveire Lega
Nord e Pdl ed aver registrato freddezza da parte del Pd.
I lavoratori
potranno denunciare chi li tiene irregolarmente e ottenere l’assunzione,
nei casi più gravi di sfruttamento ai cittadini migranti verrà
garantito un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie e, (questo è
l’aspetto che più colpisce) scatterà anche una “norma transitoria”,
altrimenti detta “ravvedimento operoso". Ovvero il datore di lavoro,
l’impresa o la famiglia che vorranno autodenunciarsi per aver impiegato
manodopera irregolare, potranno farlo senza incorrere in nuove sanzioni.
Già oggi, ufficialmente chi dà lavoro a un immigrato senza permesso è
punito con l’arresto da tre mesi a un anno e una multa di cinquemila
euro per ogni lavoratore impiegato. A questo si aggiungono le sanzioni
amministrative per la violazione degli obblighi retributivi e
contributivi.
Per il lavoratore è prevista l’espulsione.
Il decreto del
governo, prevede che chi è stato condannato anche in via non definitiva
per questo reato non potrà far arrivare in Italia lavoratori stranieri
con i flussi di ingresso. Inoltre, dovrà pagare una nuova multa pari al
“costo medio di rimpatrio del lavoratore straniero assunto
irregolarmente”, soldi che serviranno a finanziare i rimpatri, ma anche
progetti per l’integrazione.
Un tema sentito molto nel mondo del lavoro agricolo anche se
rappresenta una fetta relativamente minoritaria di quella che si
continua a chiamare “immigrazione irregolare” ma che fa parte della più
scomoda voce “massa di sfruttamento”. Molto più diffusa è la condizione
colf, badanti, operai, muratori e altri che, anche non “particolarmente”
sfruttati, comunque lavorano necessariamente in nero, perché non hanno
il permesso di soggiorno. Anche per questa più vasta platea, ed è
probabilmente la notizia più attesa, arriva un salvagente, una
“regolarizzazione concordata” che potrebbe riguardare anche 200 mila
persone. Comunque una norma che permetterà a Stato e Inps di fare cassa,
ad una parte di lavoratori di salvarsi e a far emergere una ennesima
fetta di evasione fiscale finora di fatto avallata.
Sorge spontanea una domanda: perché non si è
fatto prima?
Quando durante il governo Prodi si discusse della possibilità di una “regolarizzazione
consensuale” fra padrone e lavoratore, insorse il centro che tanto
affascina il Pd, insorsero pezzi degli oggi “democratici”, si mise di
traverso l’allora onnipotente ministro dell’Interno Giuliano Amato e
molti, nel centro sinistra, nicchiarono. Nel 2007 l’allora ministro
del welfare Paolo Ferrero, oggi segretario di Rifondazione Comunista,
aveva fatto il possibile per far passare proposte di regolarizzazione
puramente ragionevoli, trovando l’ostilità del resto del centro
sinistra. Oggi il decreto lo si potrebbe chiamare "decreto Ferrero".
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